Tradurre e Scrivere

Distrutto, non vinto

Dal punto di vista strutturale “Il Vecchio e il Mare“(1953) è coerente con la semplicità che ne caratterizza il linguaggio; possiamo suddividerla nei classici tre atti (presentazione del personaggio/sviluppo dell’azione/climax) con l’evento inatteso a ribaltare l’esito degli eventi. Il personaggio e la sua storia vengono esposti attraverso l’alternanza tra la voce narrante in terza persona che ha fondamentalmente la funzione di presentare il mondo esterno, e la voce in prima persona del protagonista che non riceviamo attraverso un flusso di coscienza, o la narrazione ad altro personaggio, bensì attraverso un soliloquio che esplicita il mondo interiore del personaggio. Quest’ultima risorsa non appare affatto forzata, essendo collocata in un luogo, in alto mare, dove Santiago ha la certezza di non avere spettatori che potrebbero scambiarlo per pazzo furioso (e, riconosciamolo, con l’età l’abitudine di parlare da soli è decisamente diffusa).

Il mondo esterno ha la funzione di rivelare il personaggio e la voce narrante in terza persona lo fa mantenendo una certa distanza che accresce la già menzionata enigmaticità del protagonista. Quando il personaggio rivela sé stesso, oltre ad integrare e in qualche modo controbattere ostilità e pregiudizi del mondo esterno, opera un coinvolgimento totale del lettore, proprio perché si addentra nell’intimo. Questa alternanza conferisce dinamismo alla storia, preparatorio e descrittivo allo stesso tempo del grande conflitto. Il pescatore e l’enorme pesce si “sfidano” o meglio, il pescatore, anziano e ormai incapace, si ripromette di pescarlo nonostante la mole dell’esemplare.

Santiago cattura il pesce, ovvero si riscatta dal periodo di incapacità o “vince” la sua lotta, ma l’evento inatteso, l’arrivo degli squali che gli sottraggono il pesce, rende nulla la sua vittoria. Ha dunque senso la lotta? Le grandi mete, i sogni di gloria inseguiti per un’intera esistenza, possono diventare una missione di vita? Non sarà la caduta ancora più drammatica quando l’imprevisto ne frustrerà la realizzazione?

Non va dimenticata la saggezza. Quando il vecchio pescatore si muove nel villaggio, c’è chi lo deride, c’è chi si intristisce. Il protagonista resta totalmente indifferente al giudizio altrui perché le cose che lo affliggono sono molto più sostanziali: solitudine (per la vedovanza, la separazione dal giovane amico), volontà di rimettersi in gioco con la lotta (proponendosi la cattura del pesce), il fascino per il mare (sempre presente nella sua vita e nelle sue fantasticherie) e la nostalgia (con il ricordo di un momento felice). La sconfitta contro gli squali sottolinea la sua desolazione ma la saggezza -o l’istinto di sopravvivenza- lo spingono verso la placidità del sonno dove la sua resa è addolcita dall’accettazione della realtà. Ricorrere al rifugio del sonno è accettare l’irraggiungibilità di determinate mete e annulla la rabbia o desolazione del perdente. Se è impossibile vincere una lotta, la lotta cessa semplicemente di esistere e, in fondo, il lettore sente un certo sollievo.

Nel sonno il passato ritorna sotto forma di una visione molto cara e di cui Santiago era stato testimone in Africa, da giovane: il ruggito dei leoni sulla spiaggia la cui assonanza richiama l’infrangersi dei cavalloni sulle scogliere. Il patrimonio vitale di Santiago continuerà ad esistere finché quell’immagine vitale gli si agiterà dentro. Come si indica nel romanzo, “un uomo può venir distrutto, ma non vinto” e ciò è vero soprattutto quando il confine tra trionfo e sconfitta si sfuma fino a perdere i contorni.

Fonti: materiali Scuola di Scrittura

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La metafora del pescatore

Come detto, pur restando a contatto con le avanguardie, Ernest Hemingway resta fedele a uno stile narrativo semplice ma non per questo meno potente. Il Vecchio e il Mare (1953) opera commissionata dalla rivista Life e vincitrice del premio Pulitzer, lo dimostra sin dal titolo. In cinque parole ci vengono presentati i due protagonisti e ci viene suggerito l’implicito rapporto che li unisce. Entrambi i termini di “vecchio” e “mare” evocano il concetto di solitudine per cui si può ben dire che il titolo già racchiude, nella sua concisione, il nucleo della storia. Il romanzo avrà il compito di svilupparlo portandoci in alto mare dove il nostro protagonista (e il lettore) vengono immersi nella solitudine all’ennesima potenza. Parallelamente si intensifica anche la lotta orgogliosa del pescatore che, ormai anziano, da molto ormai torna a casa senza aver pescato nulla. Per un momento vive l’illusione di averla spuntata nella sua lotta ossessiva contro la sfortuna, ma l’arrivo degli squali vanifica ancora una volta la sua uscita in mare. Al protagonista non resta che tornare a casa a rivivere un sogno consolatorio, il ricordo dei leoni che molti anni prima, quand’era giovane e forte, aveva potuto osservare in tutta la loro forza e bellezza.

Il protagonista non perde mai il carattere di enigmaticità e nel corso di tutto il romanzo si viene colti da un senso di desolazione che arriva a travalicare la vicenda di un pescatore anziano per arrivare a toccare dei tasti che hanno a che vedere con la nostra stessa esistenza. Ma come ci riesce l’autore? La maestria di Hemingway radica precisamente nella sottile allusione a tutto quello che l’opera non arriva a dichiarare esplicitamente, per cui la lotta del pescatore finisce per convertirsi nella metafora narrativa della lotta di qualsiasi uomo per dotare di senso la propria esistenza.

Fonti: P. Capdevila Royano, F. Chiaravalloti, M. Comes Cladera, R.J. Cantavella, M.de la Rosa Miles e P. Pérez López, materiali per il Corso di Scrittura.

Traduzione e rielaborazione: Nadia Zamboni Battiston

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Hemingway in poche righe

L’irresistibile fascino che Ernest Hemingway (1899-1961) suscitò e suscita ancora è dovuto non solo ai successi letterari, riconosciuti con i premi più prestigiosi come il Pulitzer (per Il Vecchio e il Mare, nel 1953) e il premio Nobel per la Letteratura nel 1954, ma anche e soprattutto perché in un’unica personalità si intrecciarono la figura di libero viaggiatore all’insegna dell’avventura, il volontariato e il ruolo di corrispondente di guerra, l’appartenenza alla “Lost Generation” e, infine, l’epoca di pescatore in acque cubane.

Pur in contatto con le avanguardie, fu propenso all’uso di uno stile narrativo che prediligeva la semplicità che gli permetteva di far convergere l’attenzione del lettore sulla problematica dei suoi personaggi. Tra i titoli più famosi vanno senza dubbio citati “Addio alle armi” (1929) e “Per chi suona la campana“(1940). Secondo la critica, la produzione di racconti costituisce la miglior parte della sua opera letteraria. Nel 1938 l’autore li ricompilò nella raccolta “I primi quarantanove racconti“. (continua…)

Fonti: materiali Scuola di Scrittura

Traduzione, parafrasi: Nadia Zamboni Battiston