Inviti superflui

Il borghese stregato e altri racconti di Dino Buzzati, Oscar Mondadori Piccoli Classici, ed. 1994

Nella raccolta dei racconti più celebri di Dino Buzzati, c’è un canto alla purezza del sentimento d’amore e di tutto l’universo che la mente di chi ama sa generare attorno alla persona amata. L’impulso di voler vivere le migliori cose possibili e di respirare almeno l’ombra dei mondi di bellezza che si nascondono nelle nostre anime scaturisce e si proietta verso chi, semplicemente esistendo, ci rende felici. Inviti superflui è il gioiello che mi ispira i migliori pensieri ogni volta che ne leggo il meraviglioso incipit:

Vorrei che tu venissi da me in una sera d’inverno e, stretti insieme dietro i vetri, guardando la solitudine delle strade buie e gelate, ricordassimo gli inverni delle favole, dove si visse insieme senza saperlo. Per gli stessi sentieri fatati passammo infatti tu ed io, con passi timidi, insieme andammo attraverso le foreste piene di lupi, e i medesimi genii ci spiavano dai ciuffi di muschio sospesi alle torri, tra svolazzare di corvi.

La prosaica indifferenza dell’amata già stanca, già assente, pur suscitando delusione, viene accettata come fatto in sé e non percepita come ostacolo all’amore e, anzi, scatena ulteriori immagini di un’estasi che in parte esiste ancora:

Ma tu -lo capisco bene- invece di guardare il cielo di cristallo e gli aerei colonnati battuti dall’estremo sole, vorrai fermarti a guardare le vetrine, gli ori, le ricchezze, le sete, quelle cose meschine. E non ti accorgerai quindi dei fantasmi, né dei presentimenti che passano, né ti sentirai come me chiamata a sorte orgogliosa. Né udresti quella specie di musica, né capiresti perché la gente ci guardi con occhi buoni. Tu penseresti al tuo povero domani e inutilmente sopra di te le statue d’oro sulle guglie alzeranno le spade agli ultimi raggi. Ed io sarei solo.

Non c’è risentimento, è solo una triste constatazione delle differenza tra un essere vivente e l’altro, e di come si sia infranta la magia della comunione. Il protagonista, rassegnato e realista, non è comunque naufrago, o se lo è, almeno è approdato alla sua intima isola di pace:

Io sono ormai uscito da te, confuso tra le innumerevoli ombre. Eppure non so pensare che a te, e mi piace dirti queste cose.

 

Selezione, testi: Nadia Zamboni Battiston

 

 

 

 

 

L’amante senza fissa dimora

Fruttero & Lucentini, Oscar Mondadori 1986.

Maestri del giallo, ma soprattutto insuperati maestri di uno stile linguistico svelto, accattivante, incisivo, dove in una frase di cinque parole può nascondersi un’intera analisi sociologica. La premessa di questo romanzo sarebbe già un valido argomento di studio, ovvero l’incontro tra una nobildonna romana e un enigmatico e sfuggente accompagnatore di una comitiva di turisti e quindi una storia d’amore campata su tanta materia illusoria e poche certezze. La suspense prende qui i colori di Venezia, nelle sue ombre oppure nel falso sorriso della vetrina diurna saccheggiata dal turismo di massa. Certamente ci troviamo nell’ambito della suspense funzionale al giallo, ma in fondo, le grandi storie d’amore, celebrate in letteratura o vissute personalmente, non sono forse rimaste indimenticabili proprio per il mistero di cui si sono abbondantemente nutrite?

Ecco un brano in cui possiamo vedere come in poche righe gli autori alludano rispettivamente a turismo selvaggio, alla bellezza indomita della città che il protagonista ricorda con struggimento e alla routine commerciale che ne solca “prosaicamente” le acque:

Look, look Mr. Silvera, a real gondola!

Ah, – dice Mr. Silvera, – yes, indeed.

Conosce altri nomi di imbarcazioni locali (dondolino, carlina, mascareta… ) ma non li rivela. Perché sarebbe fiato sprecato, si dice, perché certe cose non interessano più nessuno e tanto meno i suoi 28.

Ma la verità è che quella sua latente Venezia di broccati, ori, porpore, cristalli, non si può nemmeno sfiorare senza pena, e soprattutto non c’entra niente con la Venezia schematica, impersonale, dell’Imperial.

S.Angelo, S.Tomà, Ca’ Rezzonico, Accademia. Il vaporetto passa dall’una all’altra sponda del Canal Grande, accosta, sbarca trenta danesi, imbarca trenta bambini che tornano da scuola, riparte verso il prossimo pontile con uno strappo prosaico, laborioso, da mulo d’acqua.

 

Alla prossima! Nadia.