Life’s but a walking shadow, a poor player
that struts and frets his hour upon the stage,
and then is heard no more. It is a tale
told by an idiot, full of sound and fury,
signifying nothing (1)
(W. Shakespeare, Macbeth)
Furono questi meravigliosi versi di Shakespeare a ispirare a William Faulkner il titolo di uno dei capisaldi della letteratura americana. Il racconto a opera di quattro voci narranti fa riferimento a pochi episodi salienti nella vita di una famiglia americana caduta in disgrazia e nel mezzo della bufera della crisi del 1928 che gettò sul lastrico milioni di americani. Attraverso le cronache di pochi giorni, le voci narranti sbrogliano una lunga matassa di conflitti famigliari in un flusso di coscienza che nel caso della prima voce si fa esasperato, trattandosi di un personaggio, Benjamin, affetto da turbe psichiche che gli impediscono di situare in una logica temporale gli eventi di cui parla. Con l’approdo all’ultima fase, quella in cui la voce narrante è la domestica di famiglia Dilsey, i tasselli si riaggiustano e le lacune si riempiono.
L’esplosione del suono e della furia sono la metafora non solo del comportamento di Benjamin, il fool della storia, ma anche dell’affabulazione degli altri personaggi, nella rivelazione della loro passionalità e meschinità. Uno dei fratelli, Quentin, prova una passione patologica per la sorella Caddie mentre l’altro fratello, Jason, è pura espressione del cinismo profittatore. Caddie, nella sua spregiudicatezza -incinta, si sposa senza avere la certezza di chi sia il padre della creatura- è il segno di un mondo che sta vivendo il tramonto delle certezze che avevano retto la vita sociale delle famiglie agiate.
Il primo scoglio nella lettura di questo capolavoro è la prosa frammentaria di Benjamin che costringe il lettore a formulare continuamente ipotesi rispetto a quanto narra. È appunto “a tale told by an idiot” ma non per questo è privo di senso. Anzi, oltre a raggiungere connotazioni poetiche, apre prospettive inedite alla scrittura.
Non si liquida Faulkner con un post, per cui condivido solo il ricordo di una lettura avventurosa e potente, assoluta nella sua descrizione di un mondo imploso. (n.z.b.)
Testi: Nadia Zamboni Battiston
Fonti: weschool.com
Photo by Farhan Abid on Unsplash
(1) Traduzione dei versi di Shakespeare (G. Raponi, 1998): “La vita è solo un’ombra che cammina, un povero attorello sussiegoso che si dimena sopra un palcoscenico per il tempo assegnato alla sua parte, e poi di lui nessuno udrà più nulla: è un racconto narrato da un idiota, pieno di grida, strepiti, furori, del tutto privi di significato”.
