L’ovvio proposito di uno scrittore è che la narrazione creata risulti interessante e spinga il lettore a voler proseguire con la lettura. Mettendoci nei panni del lettore, possiamo senz’altro affermare che quando ci accingiamo a leggere un romanzo, le nostre predisposizioni d’animo sono ben diverse rispetto a quando ci apprestiamo a leggere l’estratto conto bancario, o la pagella dei nostri figli. Non si tratta solamente di una differenza di contesto in cui è immerso il lettore -certamente la lettura del romanzo si presta a una situazione rilassata, di svago principalmente, mentre la lettura dell’estratto conto bancario fa parte degli obblighi quotidiani (con annessa intimidazione!) – ma soprattutto di una differenza di aspettative: se ci viene promesso un romanzo, non desideriamo certamente leggere un rapporto schematico e asettico degli eventi. Al contrario, è fondamentale che la storia sia caratterizzata da toni di autenticità al punto da farci letteralmente vivere un’esperienza.
L’autore deve dunque ricorrere a delle strategie ben precise e più è consapevole dell’uso di tali risorse, più speranza avrà di lasciare una traccia indelebile nel proprio lettore. Si tratta di trasmettere emozioni e tratti del carattere, combinandoli in modo tale che i nostri personaggi risultino sempre veritieri e non semplici stereotipi. Stiamo parlando del dire e del mostrare, le cui differenti funzioni vanno sapientemente alternate; a questa abilità è direttamente vincolata infatti un’altra esigenza del lettore, ovvero che lo scrittore gli permetta di implicarsi attivamente svolgendo un lavoro di deduzione. Il testo non dovrà dunque imporre un’opinione al lettore, impedendogli di utilizzare la propria immaginazione e di giungere a delle conclusioni proprie.
Come si traducono dire e mostrare nel corpo del testo? Un esempio di massima sintesi potrebbe essere il seguente: volendo esprimere l’emozione della tristezza, posso dire “Isabella era triste”, oppure posso mostrare che “Isabella non faceva altro che piangere”. Nel dire nominiamo direttamente la caratteristica a cui alludiamo, nel mostrare lasciamo che il personaggio agisca e che trasmetta, attraverso delle azioni, il suo stato d’animo. Nel primo caso, il personaggio potrebbe anche non essere presente, nel secondo, concediamo al lettore la facoltà di trarre le proprie conclusioni, per cui non solo il personaggio è presente ed agisce, ma il narratore retrocede in modo da permettere che l’azione si svolga da sola.
Il mostrare risulta certamente come la strategia più “allettante” e meno retorica però non potrà essere l’unica risorsa utilizzata, dato che c’è il rischio che la narrazione possa risultare monotona e piatta. Come detto, la virtù risiede innanzitutto nel saper gestire con perizia le due risorse, sapendo quando ci troviamo nel momento ideale per utilizzare l’una o l’altra, ma anche nel saper cercare le azioni che meglio si prestano a rivelare e che permettano di far conoscere al lettore il nostro personaggio.
Nella convivenza di queste due risorse, è bene curare in particolar modo il rischio di commettere delle ridondanze, in pratica di rispettare il principio “o si dice o si mostra”. Una possibilità latente è infatti che dopo aver mostrato, si ceda inconsapevolmente alla tentazione di mettere un “puntino sulla i”, esplicitando con la narrazione quello che abbiamo appena mostrato. Rifacendoci all’esempio di cui sopra, è come se dicessimo:
“Isabella non faceva altro che piangere, era molto triste.” La presenza del “dire” (era molto triste) costituisce ridondanza che appesantisce la prosa, rallentandola invece di farla fluire, oltre a tingerla di una certa retorica. Infine, chi ci dice che l’interpretazione dell’azione corrisponda necessariamente all’interpretazione che il narratore voleva comunicare? Sulla povera Isabella che non fa altro che piangere, io come lettore sono autorizzato a pensare che più di tristezza, si tratti di esaurimento nervoso o stanchezza. Se quello che si desidera è dotare di enfasi il concetto espresso, è raccomandabile attuare con piena coscienza della nostra intenzione. L’importante è evitare di utilizzare le due strategie per una stessa caratteristica o sentimento nel timore che il lettore non comprenda quello che vogliamo mostrare o, peggio, perché non siamo consci di commettere una reiterazione.
Queste due strategie, dire e mostrare, sono strettamente vincolate ad altre due risorse narrative: la scena e il riepilogo. Brevemente: sceneggiare implica narrare dettagliatamente un momento della storia in modo tale che il lettore abbia l’impressione di assistere ai fatti; riassumere è la maniera di affrontare una parte della storia che non merita di essere narrata in dettaglio, ma che è necessaria per la comprensione della narrazione. Risulta evidente che anche in questo caso è necessario saper selezionare con cura i momenti significativi, ovvero quelli che meritano di diventare scena e che mai potremmo proporci di raccontare, minuto per minuto, un periodo di dieci anni della vita di un personaggio!
Per affrontare la scelta tra scena e riepilogo, è bene procedere ponendosi alcune domande:
- Quali informazioni sul personaggio desidero trasmettere al lettore?
- Trasmetterò quelle informazioni mostrando o dicendo?
- Se le mostrerò, che scena sceglierò per farlo?
- Come posso combinare scene e riepiloghi in modo da dotare la narrazione della tensione necessaria?
Sono considerazioni particolarmente importanti nel momento in cui si procede alla revisione, ovvero quando saremo in grado di valutare se quello che abbiamo sceneggiato meritava di esserlo e se quello che abbiamo riepilogato va effettivamente sintetizzato.
Infine, consapevoli della necessità di tessere correttamente la sequenza di scene e riepiloghi, abbiamo a nostra disposizione, tra le varie strategie, un elemento speciale che denomineremo “perno” o anche “elemento di connessione“. Un esempio potrebbe essere: “Giovanni consultò l’ora sull’orologio che suo nonno gli aveva regalato vent’anni fa”. Questa frase potrebbe essere preceduta da una fase narrativa in cui facciamo riferimento a Giovanni quando aveva sei anni, nel giorno della morte del nonno, momento in cui il progenitore gli regala l’orologio in questione, sapendo che il bambino ne era affascinato. Il “perno” verso il futuro è costituito dall’orologio che Giovanni adulto consulta vent’anni dopo. L’azione del presente in questo caso è l’azione concreta, ovvero la scena, e cioè il momento di reale interesse, mentre l’accenno all’infanzia e alla morte del nonno, riepilogate, saranno la rampa di lancio delle azioni future. (n.z.b.)
Fonte: appunti della Scuola di scrittura tradotti e rielaborati per ripasso.
Photo by Jasper Kijk in de Vegte on Unsplash
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