Il diario della prigionia delle idee di Ahmet Altan
Moltissimi anni fa vidi uno spettacolo teatrale di un gruppo di Ravenna, che portava il sottotitolo di nessuno può colpire l’ombra e oggi, leggendo il libro di Ahmet Altan, queste parole non hanno fatto altro che ronzarmi in testa.
Se non si trattasse delle descrizione dell’agonia della libertà, mi limiterei a dire che la lettura dei saggi brevi di Ahmet Altan riuniti in Non rivedrò più il mondo è un’esperienza di lusso che illumina persino il passaggio negli inferi. La degustazione della lettura dei saggi è accompagnata da un certo retrogusto amaro, in cui è impossibile scindere la storia dell’uomo dalla vicenda dello scrittore, nonostante l’autore-protagonista riesca quasi a stemperare la giustificabile indignazione del lettore trascinandolo con un certo vigore verso l’intoccabile universo delle idee.
L’uomo di questa storia vive un’ingiustizia suprema, sotto forma di una condanna già formulata che non ha nulla di kafkiano e che è invece il frutto di una pratica politicamente ben collaudata, condita dalla beffa di galoppini del potere disinformati, noncuranti o placidamente crudeli.
Lo scrittore, che abita nel corpo dell’uomo di questa storia, entra in una bolla, assorbe storie, viaggia tra mondi ed epoche non sue. Sublima i propri affetti e se ne distacca dolorosamente per dribblare in qualche modo l’umiliazione della negazione a qualsiasi diritto di essere amato, oltre che della negazione di mille altre pratiche quotidiane. Tutta la narrazione approda al capitolo finale intitolato Il paradosso dello scrittore che è il sunto lucidissimo di come funziona il mondo-ombra in cui vive e si rigenera, per definizione, la mente di chi nasce scrittore.
Ha un colore la dissidenza? Essendo sempre esistita, di certo si sa che evidentemente ha sempre il colore opposto a quello del potere di turno. Altrettanto certa è l’ottusità del fanatismo, visibile soprattutto quando il potere tenta di dare dignità al sopruso travestendolo da “ideologia”. Il risultato si avvicina più a uno spettacolo da ignobile baraccone in cui si gridano proclami con voce stridula, nulla a che vedere con la ricchezza del mondo-ombra, in cui, secondo le parole di Altan:
Ogni occhio che legge quello che ho scritto, ogni voce che ripete il mio nome, mi prende per mano come una piccola nube e mi porta volando su valli, sorgenti, boschi, mari, sulle città e sulle loro strade. Mi ospita discretamente nelle sua casa, nel suo soggiorno, nelle sue camere.
Non vedrò mai più il mondo è un titolo forte, che mette di fronte al dato di fatto. Il progetto di chi condanna l’autore è proprio l’isolamento perpetuo e definitivo da un mondo che, vien da sospettare, forse non merita neppure di essere visto. (n.z.b.)

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